" […] In End c'è comicità, amarezza, momenti grotteschi sonorizzati da fragorose, allucinanti risate. L'attore - che spesso nei suoi spettacoli suona l'amata batteria - è al centro di uno spazio vuoto, disegnato dalle luci: neon aziendali, lampadari, lampadine. "Il mio vuole essere un teatro di protesta. Il linguaggio di Pinter e di Beckett è molto attuale perché smaschera un potere come quello di oggi. Che chiede ai cittadini di credere, obbedire, combattere. […]

Roberto Incerti - la Repubblica - 3 agosto 2003

 

"Guai in fabbrica" e "Tutto qui" due sketch dei primi anni '60, di poco successivi alle prime fondamentali opere di Pinter, non descrivono la ferocia e l'instabilità di questo gioco del possesso nel modo articolato del "Calapranzi", del "Compleanno" o del "Guardiano", sono piuttosto frammenti che hanno l'aura dell'apologo ironico, capace di suscitare risate di identificazione. E non per questo l'impatto è meno angoscioso. Il dialogo fra il padrone Fibbs (magistralmente interpretato dal Morganti) e l'operaio Wills (un efficace Sergio Piano), ruota intorno all'elencazione di prodotti industriali con l'intento di dominarne l'inutilità chiamandoli con i loro nomi da gadget, eludendo lo scontro diretto di potere e di classe che pure è alla base del rifiuto degli operai a proseguire la produzione. Cambio di scena a vista, con citazione musicale da intervallo, e gli stessi arredi funzionano ora da salottino coronato da lampadario. Il dialogo tra due donne (quasi un monologo per la padrona di casa, mentre l'ospite si esprime per monosillabi, ben interpretate da Sabrina Mascia e Rita Frongia) diventa pura divagazione di uno medesimo futile argomento. […] E se il primo sketch si conclude con il guizzo di un tiptap in tuta blu, il suono di una vibrazione circolare sospende in una infinita vacuità questa annichilente stanza del tè. […] Con Beckett la totale assenza di un principio costitutivo si propone nella tragica ripetitività delle funzioni biologiche. [..] Nella raffinata messa in scena diretta da Morganti i due eccellenti attori Francesco Pennacchia e Sergio Licatalosi offrono straordinario estro e spessore - nell'assenza verbale di una comunicazione ridotta a pura fonazione - alla pantomima incurabile e maniacale dei gesti quotidiani. […]

Roberta Sanna - La Nuova Sardegna - 1 novembre 2003

 

" […] un samovar monumentale e attorno due serafiche signore britanniche, abbigliamento ottocentesco l'una capi più aggressivi l'altra. Di che parlano? Del nulla. Vuoto assoluto. Sono molto più sostanziosi i silenzi: non è imbarazzo ma assenza. […] Tutto qui è uno schizzo di amabile veleno, puro Pinter, portato in scena alle Saline di Cagliari da Morganti con gli attori dell'Alkestis. Abbinato a un'altra gag del drammaturgo inglese (Guai in fabbrica) e all'Atto senza parole 2 di Samuel Beckett. Un percorso logico, che nella messa in scena appare ancora più logico: le parole sono detriti, bucce, svuotate di significato. Danno voce inconsistente, ritmo neutro, a un rito che non vuole morire, una litania-parodia della vitalità dell'esistenza. La demolizione della lingua comincia con Guai in fabbrica … la parola ha conquistato l'inutilità. Ma preme ciò che resta d'autentico: la sicurezza del potere si sfalda, via via i ruoli si capovolgono. All'inizio danzava il padrone, alla fine danza il funzionario (e con lui gli operai). … e infine l'Atto senza parole, dove Beckett liquida i rifiuti e lascia in scena la banalità dell'esistere […] Tre testi in un ora rischiano, nello spettatore, una tensione a intermittenza, e l'impressione di qualcosa di striminzito. Ma il gioco diverte, soprattutto spiazza. E' molto.

Roberto Cossu - L'Unione Sarda - 2 novembre 2003

 

"[…] End è uno spettacolo sulla ripetitività esistenziale. Morganti compie una buona integrazione dell'illuministica nel formalismo. Soprattutto emerge a buon livello la prova di tutto il gruppo, che riesce a far 'durare' tre testi i quali, per la brevità, avrebbero potuto lasciare solo la sensazione di un aperitivo in attesa di un pranzo più succulento. In agguato il rischio di cadere in un teatro dell'assurdo un poco stereotipato, ma lo spettatore lascia la sala straniato e l'operazione può dirsi ben riuscita.

Manuela Vacca -Godot news - 5 novembre 2003

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